Il filo conduttore del romanzo Vita non si dipana secondo uno stretto ordine cronologico ma segue le vie tortuose del pensiero, del ricordo, dell’invenzione, delle inversioni temporali. Con tutto ciò, è salva la sequenzialità degli avvenimenti che si sviluppano dall'inizio del Novecento con un respiro proprio, riconoscibile. Gli avvenimenti riguardano la stessa famiglia della Mazzucco e appassionano per la loro unicità, straordinarietà e, nello stesso tempo, semplicità e condivisibilità.
La storia si muove in una linea d’ombra continua, la stessa che l’autrice ammette di aver ricercato in modo ossessivo e compulsivo lungo le strade in un periodo della sua vita, a causa degli attacchi di panico che l’assalivano ogni qualvolta le capitava di sostare alla luce del sole.
Anche il romanzo si sviluppa all’ombra del luminoso sogno americano, e già il prologo ce ne avvisa: “l’America non esiste. Io lo so, perché ci sono stato”, frase ripresa dal film Mon oncle d’Amérique di Alain Resnais.
Ma non è solo l’America a divenire impalpabile; anche l’Italia - Minturno in particolare - sparisce e diviene un punto compresso di nostalgia, una metafora, la partenza da cui non si torna, se non, forse, fisicamente.
Vita di emigrati, vita di gente sopravvissuta o schiacciata, vita distrutta e ingannata, vita uguale agli immigrati che sbarcano oggi in Italia; ma Vita è anche la protagonista in carne e ossa … dove finisce la vita, dove inizia il sogno?
“Siamo fatti della stessa materia dei sogni” afferma il vecchio, saggio e magico Prospero ne La Tempesta, l’opera matura di Shakespeare: i sogni s’incarnano e si rivelano nella solidità della vita – la materia (stuff) - ma “la nostra piccola vita è circondata dal sonno”.
Vita è un sogno, Vita è la vita.
E ciò che rende vivo questo romanzo è solo la magia della scrittura.
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